Voivod – “Rrröööaaarrr” (1986)

Artist: Voivod
Title: Rrröööaaarrr
Label: Combat Records
Year: 1986
Genre: Thrash/Black Metal
Country: Canada

Tracklist:
1. “Korgüll The Exterminator”
2. “Fuck Off & Die”
3. “Slaughter In A Grave”
4. “Ripping Headaches”
5. “Horror”
6. “Thrashing Rage”
7. “Helldriver”
8. “Build Your Weapons”
9. “To The Death!”

Quella dei Voivod è la parabola per eccellenza del gruppo Metal: un mito fondativo proseguito senza interruzioni per quattro decadi e passato indenne attraverso l’epopea dorata degli eighties come sul terreno minato dei nineties, facendo i conti con avversità d’ogni tipo quali un riscontro popolare ondivago, cambi di formazione a titolo e livello personale tutt’altro che indolori, nonché la prematura scomparsa di un elemento più che cardine della storica line-up e della sua compatta ma imprevedibile evoluzione stilistica. Da qualunque parte la si voglia guardare, il semplice nome dell’ensemble del Québec è ormai divenuto nell’ambiente un sinonimo di resistenza alle ostilità del destino, specie alla luce di un presente corrente in cui al four-pieces viene finalmente riconosciuto il successo di critica e soprattutto pubblico a lungo forse anche inseguito; ed è opinione comune dei via via crescenti supporter, quando non direttamente di valenza storica, che la prima di queste sfide paratesi di fronte ai progenitori canadesi risieda nel forfait improvviso da parte di Metal Blade Records dopo la pubblicazione del già pionieristico debut album. Per quanto l’etichetta fondata da Brian Slagel sia infatti spesso e volentieri incorsa in clamorosi errori qualitativi o di gestione economica poi tradottisi in dannose defezioni nel roster (gli stessi Slayer avrebbero abbandonato, nel frattempo, il marchio originariamente losangelino poco prima del loro leggendario terzo full-length, edito invece da un’insospettabile Def Jam Recordings nel corso della stessa estate), la proposta messa sul tavolo allora da Piggy e trio di compari non è certo quella sulla quale risulta più facile puntare in un periodo ove nel Thrash si iniziano ad intravedere scenari d’inedita perizia tecnica e produttiva, aperti per merito dei capifila Metallica con quello che a suo modo è il rivoluzionario “Ride The Lightning”.

Il logo della band

Ma nel 1986 il punto è proprio guardarla dal lato evolutivo (o involutivo) opposto. Poco importa, difatti, di queste embrionali innovazioni di pulizia ai quattro giovani nordamericani francofoni, tarati forse da un lato dall’ancora scarsa dimestichezza con l’idioma inglese e dall’altro, soprattutto, dalla provenienza localizzata nella geograficamente isolata Jonquière: in curiosissima controtendenza rispetto al songwriting costantemente innovativo messo in mostra a partire dal successivo e grandioso lavoro in avanti, i Voivod insistono ribadendo il belligerante, sovversivo carattere sonoro ed estetico messo a punto su “War And Pain”, e semmai persino appesantito sul suo seguito a cortissima distanza.
Rilasciato in simultanea su licenza territoriale da Combat per l’America (forte a quel punto già dei primi due Bathory, ma anche di “Don’t Break The Oath” dei Mercyful Fate, di “At War With Satan” dei Venom e “Seven Churches” dei Possessed), da Banzai in Canada e Noise Records nel vecchio continente (quest’ultima, leggenda vuole, convinta allo scadere del tempo utile da un Tom G. Warrior ferventemente entusiasta sia dei demo diffusi che della prestazione dei canadesi al World War 3 Festival di Montréal, nella prima calata sul suolo nordamericano per i Celtic Frost), “Rrröööaaarrr” risulta oggi una tappa obbligata e centrale tanto quanto il predecessore nel collegare Thrash e Speed Metal a quell’eterogeneo calderone che a posteriori viene a torto o ragione definito come first wave Black Metal. In questo mare magnum di entità invero abbastanza divergenti sotto vari punti di vista, scandalosamente ignorato rimane anche solo il contributo di carattere visuale dato da un giovanissimo Away coi suoi visionari, iconici schizzi monocolori sporcati di sangue a metà tra Warhammer e Urania, fatti di teschi alieni provvisti di elmetti, corpse-paint e mostri filtrati magari da qualche agente psicotropo; i cingoli di Korgüll Lo Sterminatore che addobbano la copertina ed introducono visivamente il mondo del brano d’apertura fanno del resto parte della stessa divisione corazzata capeggiata quindici anni più tardi dai Marduk e composta da una pletora di band riciclanti l’immaginario militare pre- quanto post-atomico, non ultima la genia bastarda arruolatasi ben dopo sempre in terra canadese e condotta dall’asse ConquerorRevenge.

La band

“War And Pain”, anche in ciò, una bestia informe: un album tecnicamente alquanto immaturo dove gli ovvi numi tutelari di buona parte dei gruppi dell’epoca (Motörhead in testa e le due naturali diramazioni rappresentate da Venom e Discharge subito dopo) venivano disciolti nell’acido stile ancora in via di sviluppo del chitarrista e compositore; forte dell’incontro dei suoi autori con i primi metri di paragone in campo Thrash provenienti soprattutto dall’Europa, “Rrröööaaarrr” ne è così la versione per certi versi aggiornata di un anno, meglio centrata nelle strutture e potenziata dal maggiore affiatamento tra i membri. Non sbaglia né va lontano dal punto infatti chi lo definisce l’apice in aggressività mai partorito dal quartetto, ma semmai risulta errato vedere nel ricorso a velocità più sostenute una devoluzione riguardo alla cura formale; pur nella loro andatura esplosiva, sia “Korgüll The Exterminator” che lo zenith di violenza intitolato “Ripping Headaches” (futuro cavallo di battaglia con cui aprire concerti su concerti per quasi un trentennio) sfoggiano una sezione ritmica non proprio alla portata di tutti nel 1986, animata da un Away semplicemente instancabile come suo solito – ed allora superato dietro alle pelli soltanto dagli assi di tecnica a stelle e strisce Dave Lombardo e Charlie Benante.
In stato di grazia quando non posseduto figura anche il compianto axeman Piggy, il quale oltre al riffing perfezionato quel tanto che basta per conservare il taglio grezzo, anarchico, assordante e sferragliante dell’esordio si lancia in assoli dove dei bei lampi di tecnica duettano col rumorismo sulle cui atonalità e dissonanze si fonderà tantissimo del feeling straniante dei capolavori imminenti della band e non solo: sorretti dalle impennate sul metronomo da parte di basso e batteria, le dilatazioni su “Horror” e la punta sarcastica in “Fuck Off & Die” tolgono ogni dubbio sul radioso avvenire di una figura assai importante per la chitarra Metal in molte sue manifestazioni, specialmente le più avanguardistiche dei primi ‘00s. Ci sono poi gli episodi meno virulenti e più impostati sul groove, avanzi della stagione dei demo che coinvolgono in particolare nell’ode ai tre di Newcastle “Helldriver” e sulla successiva “Build Your Weapons”, ma nel finale l’attenzione è tutta per la marcia di “To The Death!” tramutata in fuga dei pochi superstiti all’attacco chimico dei canadesi; con l’ultima vittima terrestre abbattuta, il prossimo terreno di caccia di Korgüll e dei quattro imberbi scagnozzi sopravvissuti al proprio personalissimo terzo conflitto mondiale, nonché armati fino ai denti per un quarto, non può dunque essere che lo spazio profondo coerentemente, sperimentalmente -e almeno due lustri prima di chiunque altro- posto sotto assedio soltanto un anno dopo.

Sebbene il dittico introduttivo alla futura e corposa discografia della band sia ben lungi dall’esserne la fase sottostimata per definizione (specie tenendo conto dei sorprendenti risultati ottenuti persino durante la criminalmente dimenticata parentesi con E-Force), quello che ancora oggi stupisce è vedere fior di appassionati -seri o presunti che siano- lanciarsi nelle classiche dietrologie su proto-Black e affini ignorando spesso e volentieri l’importanza di questi cyber-guerrieri québécois; di certo non ha affatto aiutato l’essere passati alla storia come le menti fini dietro alcuni album fondamentali per capire l’evoluzione del metallo battente e non solo attraverso i decenni, oltre alla riluttanza verbale e verbosa della stessa band all’assimilazione al filone nero par excellence una volta piombate in partita le sue sanguinarie derive novantiane che lo avrebbero definito per i posteri una volta per tutte – eppure chiunque conosca bene il leggendario gruppo o abbia anche soltanto avuto il piacere di incontrarlo dal vivo si sarà certo accorto di come, dietro anni di esperienza, evoluzione e rinnovamento, i Voivod continuino a portare avanti la medesima attitudine coatta di quando si aggiravano corazzati con cuoio, chiodi da dieci centimetri buoni, maschere antigas e borchie arrugginite per le fabbriche in rovina di Jonquière: e allo stesso modo, pur con trentacinque anni sul groppone, grandissima e spesso insospettabile parte del miglior Black Metal sparso per il mondo continuerà a portarsi dietro l’odore acre di olio incendiato e gas mefitico che fuoriesce per la primissima volta proprio dai solchi pesanti del fin troppo poco creditato “Rrröööaaarrr”.

Michele “Ordog” Finelli

https://www.youtube.com/watch?v=YRgLIq-SXEA

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